Il caso è negli occhi di chi guarda

Questa frase, così profonda e vera, l’ho trovata in un libro scritto da George Johnson nel 1995. Attraverso la prospettiva alternativa e un po’ magica che si respira al Santa Fe Institute (il tempio della teoria della complessità) Johnson affronta quelle domande a cui l’umanità da sempre prova a dare risposte.
Come può l’universo essere scaturito dal nulla? Come può il mondo che percepiamo, con i suoi contorni netti e definiti, trarre origine dalle nebbie dell’indeterminazione quantistica? Come può la mente sorgere dal cervello?
A dare le risposte alcuni ci provano con la fede, altri con la scienza. La ricerca della verità è spinta dal nostro bisogno innato di cercare ‘ordine’, di individuare dei pattern che in qualche modo siano coerenti con quello che percepiamo e con le esperienze che viviamo. Gli strumenti a disposizione ed il metodo sono un dettaglio: poco importa se il mondo è costituito da acqua, terra, aria, fuoco oppure se tutto è materia ed energia che interagiscono nello spazio tempo. L’uomo da sempre prova a cercare simmetrie e ordine con gli occhi e con gli strumenti che ha a disposizione, non resiste alla tentazione di creare delle teorie. Queste idee si formano nella nostra mente, così come i modelli matematici che la moderna fisica usa per descrivere la natura. I ricercatori di Santa Fe e Los Alamos, ma anche grandi pensatori come Roger Penrose, credono che queste idee siano reali quanto il mondo stesso e che l’informazione che le costituisce sia un elemento irriducibile della natura al pari di materia ed energia.
La meccanica quantistica con le sue simmetrie sempre più astratte ci ha dato un grande insegnamento: come diceva Dirac ‘la sua formula era più intelligente di lui’, la matematica ha previsto di volta in volta l’esistenza di nuove particelle e proprietà che solo decenni dopo sono state confermate sperimentalmente.
‘Di per sè il mondo sarebbe matematico se non ci pensasse la realtà a metterlo sottosopra.’ Infatti nel mondo reale subentra la casualità. Possiamo dire che esistono tre tipi di casualità: una, invincibile, dovuta all’indeterminazione quantistica. Una dovuta al caos, che fa sì che ogni piccola modifica delle condizioni iniziali di un sistema si amplifichi rendendo imprevedibile il comportamento futuro. E la terza, dovuta all’ignoranza: il nostro cervello non riesce a vedere i fattori sottesi ad un fenomeno e quindi lo interpreta come casuale.
La nostra realtà e la vita stessa sembrerebbero esistere proprio grazie alla casualità, che permetterebbe la nascita di configurazioni via via più adatte. Il giusto mix tra determinismo e caos parrebbe all’origine di tutto.
Cesar Hidalgo, vent’anni dopo Johnson, dà per scontato che l’universo sia formato da energia, materia ed informazione. Il nostro mondo, in barba all’entropia, continua ad accumulare informazione grazie a tre meccanismi: per prima cosa l’informazione viene creata continuamente dai sistemi caotici, viene poi immagazzinata nei corpi solidi ed infine viene elaborata dalla materia stessa.
Shannon nel 1947 trovò una formula per descrivere la quantità di informazione incredibilmente uguale alla formula dell’entropia. Ne serve poca (di informazione) per descrivere un sistema ordinato (basta comprimere la sequenza in un algoritmo) ne serve molta per descrivere una sequenza casuale (devo indicare per esteso ogni singolo elemento). Quindi l’informazione è molta dove c’è ‘disordine’ e poca dove c’è ‘ordine’.
E se fosse la nostra ignoranza a non farci vedere qualcosa che è all’origine di questa casualità?


Per approfondire:

George Johnson (1995) Fire in the Mind: Science, Faith, and the Search for Order, Knopf

Cesar Hidalgo (2016), L’evoluzione dell’ordine: la crescita dell’informazione dagli atomi alle economie, Bollati Boringhieri

Claude E. Shannon (1963), The Mathematical Theory of Communication, Univ. of Illinois Press

Roger Penrose (2004), La strada che porta alla realtà, Bur

Rispondi