Metaverso: una nuova opportunità per migliorare la qualità del lavoro e la customer experience

Da venticinque anni faccio l’imprenditore nel mondo dei servizi di customer care e ho vissuto numerose rivoluzioni tecnologiche che ci hanno costretti di volta in volta a reinventare la nostra azienda per poter mantenere o accrescere la posizione sul mercato. Dopo internet, gli smartphone, i social media, l’intelligenza artificiale, oggi affrontiamo il metaverso.

Quando nel nostro Innovation Lab di Milano facciamo indossare diversi tipi di visori per testare le nuove customer experience che stiamo progettando, il visitatore rimane ammaliato dalla sensazione di sentirsi completamente immerso in una nuova realtà. Quasi per tutti è la prima volta, a dimostrazione che questa nuovo mondo è davvero ai primi passi.

L’adozione massiva di queste tecnologie immersive, che di fatto trasportano le persone in altri mondi, avrà un impatto sull’umanità ben più profondo di quello che internet e i social hanno avuto fino ad oggi.

Spero che ci sia il tempo a tutti i livelli per ragionare a fondo sulle conseguenze sociali e per definire le giuste regole per assicurarci che tutto questo non sia, come profetizzano numerosi pensatori, un ulteriore passo sulla strada che trasformerà l’homo sapiens in una nuova specie.

Ma definiamo meglio cosa sia il metaverso: meta sta per oltre, quindi meta-verso significa ‘universo oltre’. La parola ‘metaverso’ è nata in un romanzo cyberpunk del 1992 scritto da Neal Stephenson (Snow Crash). A dimostrazione che i sogni creano la nostra realtà, quasi tutte le ultime innovazioni si ispirano a romanzi di fantascienza o a videogame. 

Non c’è “il” metaverso ma esistono ed esisteranno molti metaversi: mondi simulati ai quali un utente può accedere e agire secondo regole diverse da quella della realtà fisica e sociale in cui viviamo. Non è un’idea nuova, i giochi di simulazione ci sono da molti anni, ma oggi la tecnologia permette esperienze immersive sempre più realistiche e le attività commerciali al suo interno possono essere molto facilitate da nft e cryptovalute; pare proprio che abbia tutte le caratteristiche per essere la  cosiddetta ‘next big thing’. Non a caso Mark Zuckerberg, pochi mesi fa, ha deciso di cambiare il nome di Facebook in Meta, con l’ambizione di diventare il gestore del più grande e popolato metaverso del futuro. Questa scelta ha stimolato tutti noi ad accelerare investimenti e a porre maggior attenzione su questa nuova tecnologia.

Approfondendo l’argomento ci si accorge che esistono pochi libri ma moltissimi podcast in cui se ne discute. Non c’è tempo per scrivere e per pensare: interviste a personaggi surreali, startupper del gaming, degli nft, delle cryptovalute, che usano neologismi per esprimere concetti per i molti incomprensibili. Alcuni di loro sono sicuramente imprenditori mordi e fuggi, i cui business assomigliano al multilevel marketing del secolo scorso, imbottiti di tecnologia e parole difficili, dove gli ultimi però rimangono sempre fregati. 

Fortunatamente ci sono i filosofi che si pongono le domande che noi non abbiamo il tempo di porci. Anche loro per orientarsi nell’argomento  fanno continuamente riferimento a romanzi cyberpunk, videogame o film di fantascienza. Ma si danno risposte più profonde e sagge.

C’è chi è a favore del metaverso: consiglio di leggere il recente libro Reality+, dove David Chalmers sostiene con interessanti argomentazioni che ogni metaverso è reale, anzi può persino essere meglio della nostra realtà fisica.

Qualcuno è più diffidente e alza l’asticella dell’attenzione agli aspetti etici: Paolo Benanti ci ricorda che noi esseri umani andiamo a dormire la sera con un sogno e ci svegliamo la mattina con un desiderio, che il metaverso è un’atopia, un futuro senza posto, dove il sogno rischia di diventare incubo. Come ogni artefatto tecnologico può essere utile per migliorare la nostra condizione umana o trasformarsi in un’arma letale.

Mi chiedo spesso cosa possa fare un’azienda per non trovarsi impreparata, da un lato, e per non essere inconsapevolmente coinvolta nella diffusione di una tecnologia che si potrebbe rivelare pericolosa, dall’altro: credo che la strada giusta sia quella di presidiare le tecnologie emergenti e di costruire team multidisciplinari che facciano sperimentazione ma che si pongano anche delle domande più profonde.

In Covisian abbiamo 23000 persone in sette paesi e noi pensiamo che questa possa essere una grande opportunità sia per fornire nuovi servizi sia per migliorare il nostro modo di lavorare riducendo l’impatto ambientale e migliorando la condivisione di strategie e valori. La creazione di uffici virtuali in cui incontrare colleghi lontani migliaia di chilometri potrebbe essere lo smart working del futuro, ma come già abbiamo visto in questi due anni di pandemia questo modello funziona solo se ben integrato con il lavoro in presenza, dove empatia e socializzazione possono beneficiare di milioni di anni di evoluzione. Come per le nostre scelte fatte per l’intelligenza artificiale, ‘inoltre non invece’ sembra essere la scelta giusta. Vivere e lavorare nel mondo reale facendo dei passaggi nei metaversi laddove le leggi della fisica siano una limitazione: per un appassionato di auto potrebbe essere un giro in un museo che presenta tutte le auto prodotte nella storia, per un appassionato di storia passeggiare nella Roma di duemila anni fa, per un appassionato di moda un negozio di accessori nft per il proprio avatar o reali per il proprio sé.

In queste gite virtuali ci sarà bisogno di un nuovo tipo di servizi di assistenza e i nostri agenti potranno entrare e uscire dai metaversi per fornire customer experience oggi inimmagginabili.

David Chalmers (2022), Reality+: Virtual Worlds and the Problems of Philosophy

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