A chi non è mai capitato di provare quella speciale sensazione di appagamento che si ha quando ti viene una buona idea? Quando trovi una soluzione creativa ad un problema che sembra impossibile, quando riesci a far funzionare meglio un meccanismo o un processo.
Ci sono idee pratiche, idee speculative, idee utili, idee sbagliate, idee necessarie. Idee che ti fanno ricco, idee che cambiano il mondo.
Chissà cosa provò Einstein quando vide chiaro nella sua mente il funzionamento dell’Universo? Chissà quali ambizioni, quali scelte, quali incontri, quali libri l’hanno condotto a quei pensieri. Chissà da quanti anni inseguiva quell’idea e come ha fatto a trovare la forza di insistere fino ad arrivare alla soluzione.
Da anni mi chiedo come si possa facilitare la produzione di buone idee, sia nel mio stesso cervello sia, in generale, in un’organizzazione.
Certamente il primo ingrediente necessario è la motivazione. Anche un cervello come quello del grande Richard Feynman ha passato un periodo in cui non riusciva più a condurre nuove ricerche, troppo preso a preparare le lezioni per i suoi studenti alla Cornell. Poi gli bastó vedere volare un piatto di plastica in mensa per riiniziare a immaginarne velocità angolare e traiettoria, accorgendosi che la principale motivazione che lo spingeva era il divertimento: niente diverimento, niente motivazione, niente idee. Pochi anni dopo sviluppó la teoria che lo portò al Nobel nel 1965 (Qed).
Ma anche la più grande motivazione serve a poco se la tecnologia e le persone non sono ancora maturi per accogliere una particolare innovazione. Stuart Kaufman parla di adiacente possibile come una sorta di futuro ombra, che aleggia ai margini dello stato attuale delle cose. In un libro geniale intitolato ‘Dove nascono le grandi idee’, Steven Johnson, riporta, tra le altre, la storia dell’inventore inglese Charles Babbage che nel diciannovesimo secolo progettò il primo computer programmabile ma non potè realizzarlo per i limiti della meccanica. La sua idea andava oltre l’adiacente possibile: stava cercando di escogitare uno strumento da era elettronica nel bel mezzo di una rivoluzione meccanica alimentata a vapore.
Poi c’è la serendipità, parola fantastica che riecheggia una sensazione di impotenza di qualsiasi strategia di fronte alle infinite possibilità del caso. Molto spesso infatti le migliori idee vengono mentre si pensa ad altro, mentre non le stiamo cercando. Ad esempio l’ungherese Biro ebbe l’idea della penna a sfera mentre passeggiava per strada e vide una palla che rotolando fuori da una pozzanghera lasciava una striscia umida sul terreno. Se non ci fossero stati quei bimbi a giocare probabilmente oggi la biro avrebbe un altro nome. Viaggiare, leggere libri di argomenti diversi, leggere quotidiani generici può aiutare a trovare nuovi spunti ‘serendipitosi’ che potrebbero far nascere quell’associazione di idee che porta ad una nuova scoperta.
Molti psicologi e filosofi hanno scritto sull’argomento: alcuni studiando caso per caso grandi uomini, altri analizzando l’importanza dell’ambiente e delle interazioni per facilitare il processo creativo. Certamente vale la pena investire del tempo nel capire cosa ha aiutato gli altri ad avere grandi idee, ma ancora di più serve ascoltare ed assecondare il proprio cervello per capire di che cosa dobbiamo nutrirlo per far si che si liberi la nostra parte più creativa.
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Letture consigliate:
Steven Johnson (2011), Dove Nascono le grandi idee, BUR
Arthur Koestler (1978), L’atto della Creazione, Astrolabio Ubaldini