Non esiste più il sogno romantico di creare una grande industria nel senso classico del termine, il nuovo mondo digitale si distingue per la minima necessità di forza lavoro. Un’azienda come Whatsapp ha sessanta dipendenti e vale decine di miliardi. In più vengono investite cifre enormi proprio per sviluppare tecnologie che renderanno necessari meno lavoratori anche in settori non propriamente digitali. Martin Ford, nel suo libro the Rise of the Robots, fa una lucidissima (e preoccupante) analisi sul futuro del lavoro: spariranno non solo i lavori di ‘routine’ ma anche i lavori ‘predicibili’. Se qualcuno può imparare a fare il tuo lavoro studiando un registro dettagliato di quello che hai fatto nel passato, molto probabilmente un algoritmo potrà fare quel lavoro al posto tuo.
Pochi giorni fa ho visto un sondaggio di SWG in cui si rileva che il 47% degli italiani si aspetta che nei prossimi anni queste tecnologie ridurranno in modo drastico i posti di lavoro.
Quindi tutti lo sappiamo, si ridurrà il fabbisogno di lavoro: meno lavoro significa meno stipendi e quindi meno consumi. Quando le aziende avranno sostituito le persone con algoritmi probabilmente non avranno più potenziali clienti a cui vendere prodotti e servizi, avranno quindi meno risorse da investire nella tecnologia e quindi anche i lavoratori impiegati nella ricerca e sviluppo saranno a rischio.
Ma cosa si potrebbe fare per invertire questo trend? Gli economisti studiano ricette che i governi dovrebbero applicare velocemente, ma ogni anno si scopre che le precedenti previsioni erano ottimistiche. La tecnologia avanza sempre più veloce del previsto, le politica reagisce sempre più lentamente.
Ogni azienda dovrebbe avere la consapevolezza che la sostenibilità del proprio business per il futuro non dipende solo dal bilancio di fine anno. Molto spesso scelte tattiche di riduzione costi, intraprese copiando i competitors o seguendo la moda, innescano circoli viziosi che in pochi anni portano le aziende ad impoverirsi di contenuti fino a perdere completamente la loro competitività.
Nel caso dell’azienda che ho fondato, ad esempio, credo che l’unica strada per garantire un futuro stabile ad oltre quattromila dipendenti sia quella di utilizzare la nostra apparente debolezza come un elemento distintivo sul mercato. Nessuno vuole assumere persone? Meglio, per noi che facciamo delle persone il nostro punto di forza ci sarà certamente uno spazio. Se saremo capaci di mantenere adeguatamente aggiornato il nostro personale e riusciremo a supportarlo con i corretti investimenti tecnologici credo che potremo contare a lungo sul nostro lavoro. In fondo i nostri servizi basati sull’organizzazione, sulla qualità, sulla competenza e sull’empatia di migliaia di persone possono essere una risorsa preziosa per un mondo in cui la cosiddetta customer experience diventa strategica per la creazione di valore.
È inutile opporsi a forze che non sono sotto il nostro controllo: anni fa per contrastare la concorrenza a basso costo abbiamo inventato sofisticati sistemi di pianificazione delle risorse e assunto manager di altissimo livello, che hanno reso l’azienda competitiva nonostante costi del lavoro molto più alti rispetto a chi delocalizzava o viveva di incentivi. Oggi siamo forti e strutturati, con una solida compagine societaria, pronti ad affrontare un futuro sempre più complesso. Stiamo realizzando l’ambizioso progetto di integrare l’intelligenza artificiale nei nostri processi, rendendo ancora più efficace e insostituibile il lavoro dei nostri dipendenti. Non temiamo di essere sostituiti da algoritmi, il contenuto empatico e la passione di chi ogni giorno soddisfa e convince i clienti finali va ben oltre la routine e la predicibilità.
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Letture consigliate:
Martin Ford (2015), The Rise of the Robots – Technology and the Threat of Mass Unemployment, OneWorld
Le sfide dell’industria 4.0, PoliticAPP SWG, 21/10/2016