Analytics: si può fare

Siamo continuamente bersagliati da newsletter, convegni, libri, corsi, master sul tema big data e analytics. Da imprenditore nel settore del business process outsourcing ho sempre seguito con attenzione l’evoluzione di queste tecnologie, cercando di trovare nuove soluzioni da poter offrire ai nostri clienti.
Dopo diversi investimenti sbagliati e tentativi falliti, nell’ultimo anno siamo riusciti a confezionare dei veri servizi analytics driven, facendo accadere qualcosa che sembrava ormai impossibile. In questo breve post provo a riassumere il nostro percorso, sperando che possa aiutare qualcuno a non perdere la speranza.
Nel 2013 abbiamo acquistato ben due diverse piattaforme di speech analytics, spendendo una somma enorme e tentando di applicarle ai servizi di customer care di alcuni clienti. Quasi 500k euro investiti, ma a parte i ritorni in termini di immagine, i risultati in termini di reale efficacia sono stati deludenti (con problematiche enormi di integrazione tecnologica, normative, contrattuali,…). In realtà noi, troppo appassionati di tecnologia, non vedevamo l’ora di sperimentare questi nuovi affascinanti strumenti ma non avevamo chiaro quale fosse lo scopo del test. Non sapevamo cosa aspettarci esattamente.
I sotware vendor ci hanno venduto a caro prezzo un’idea ma nel mondo reale non è accaduto nulla.
Ecco il primo consiglio: non sopravalutare l’approccio tecnologico agli analytics e non fidarsi troppo delle promesse dei software vendor.
Nel 2014, frustrati dagli scarsi risultati (e vedendo che clienti e competitor brancolavano nel buio come noi) abbiamo capito che dovevamo approfondire l’argomento. Lo sviluppo delle piattaforme di training on line ci sono state preziose (edX e Coursera hanno iniziato a pubblicare corsi e approfondimenti prodotti dalle più avanzate università del mondo). Abbiamo così potuto formare a basso costo decine di persone in azienda, creando un framework di competenze utili per procedere nel nostro progetto, iniziando a discutere tra di noi su come le nuove tecnologie potessero essere utili al nostro business. Abbiamo persino partecipato ad  una competizione su Kaggle (il portale che permette di condividere complessi problemi di data analysis), sfidando 3000 aspiranti data scientist provenienti da tutto il mondo: il migliore del nostro team è arrivato ventesimo riempendoci di orgoglio (anche se ho passato notti insonni per provare a ridurre le 40 posizioni che mi separavano da lui).
Nel frattempo le tecnologie evolvevano: ogni settimana viene annunciata qualche tecnologia disruptive che pare minare alla base qualsiasi attività umana (vedi il mio post precedente Umani e bot: inoltre, non invece).
Approfondendo gli argomenti e condividendo i pensieri abbiamo cominciato a immaginare davvero come si potesse usare la tecnologia per migliorare l’azienda (che nel frattempo è diventata una delle più grandi del settore con il brand Covisian).
E qui il secondo consiglio: se si vuole cambiare davvero un modello di business bisogna sporcarsi le mani, entrando nei dettagli e condividendo la ricerca con i collaboratori.
Così abbiamo definito una strategia chiara per realizzare l’idea ambiziosa di reinventare il business process outsourcing: utilizzando le tecnologie e le competenze più moderne per aiutare i committenti a soddisfare e a fidelizzare i clienti e per aiutare i nostri dipendenti a lavorare meglio, sereni e consapevoli della loro insostituibile capacità di creare un’esperienza positiva al cliente finale.
Abbiamo capito che il team analytics deve contenere una lucida visione di business e una rigorosa capacità tecnica di implementazione. E’ il punto focale per l’introduzione dell’innovazione nell’azienda e i migliori cervelli devono essere concentrati lì. Il capo deve essere lungimirante, meglio se poco appassionato di tecnologia, e i professionisti devono coprire diversi campi: data scientist (per costruire i modelli), software developer (per implementare i pezzettini di software che portano i modelli dal laboratorio alle operations), esperti di speech analytics (per fare in modo che tra i dati siano disponibili anche informazioni preziose estratte dalle conversazioni con i clienti), esperti di database, esperti del business specifico, esperti di visualizzazione dati, ed esperti di processi operativi (fondamentali per far accadere le cose).
Ed ecco il terzo e ultimo consiglio: per fare accadere gli analytics servono investimenti importanti in persone e in tecnologia, ma soprattutto serve focus e condivisione. Ogni settimana il top management dell’azienda si interfaccia con il team analytics per vedere i progressi sui singoli progetti, analizzando l’evoluzione dei kpi e condividendo le modifiche organizzative da introdurre per far sì che il business diventi davvero data-driven.
Stiamo ottenendo risultati davvero interessanti, talvolta stupefacenti. E soprattutto, ci stiamo divertendo: c’è ancora un sacco da sperimentare e da inventare. Ma una cosa è certa: si può fare!

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